Pasta Mancini

[toggles][toggle title=”Il Pastificio”]Un pastificio in mezzo a un campo di grano

Tornando a casa, Massimo continuava a ripeterselo sottovoce, mentre il sole di fine giugno iniziava, tardivo, la discesa verso la notte. L’autoradio era solo un brusio di fondo, eppure in quell’attimo una voce lo richiamò, nitida: “Niente paura, niente paura, niente paura: ci pensa la vita, mi han detto così”. Quando un sogno può realizzarsi sei a piedi nudi sul bordo di un precipizio. Sai che salterai, non se saprai volare. Poi, arrivano i segni.

Un lavoro ben fatto è svolto nella considerazione costante del suo destinatario, è una prova di generosità e di rispetto. Quando al pastificio si decide qualcosa, lo si fa insieme, pensando a quanti mangeranno Pasta Mancini e hanno il diritto di portare in tavola un prodotto che non deluda le aspettative. Le parole sono cangianti, mutano significato in base a quanto, come e soprattutto a chi le utilizza. La pronuncia stessa di un vocabolo può renderlo fertile o irrimediabilmente arido: la filosofia Mancini è quella di restituire senso al termine “qualità”, depauperato dall’abuso che la gastronomia industriale ne ha fatto negli ultimi anni.

La progettazione del pastificio è durata un anno ed è iniziata proprio in autunno, come fosse una ‘semina intellettuale’. Massimo ed Ernesto Paoletti, architetto ed amico fraterno, si sentivano bambini armati di pennarelli di fronte a un enorme foglio bianco. Dieci ettari di terreno per dare forma alle loro speranze e un solo obiettivo: fare del grano Mancini la migliore pasta possibile. Dopo un lungo periodo a scambiarsi opinioni, finalmente il primo schizzo, sintetico ed efficace. Ogni tentativo di modifica ulteriore: superfluo.

Pensato in relazione alle esigenze volumetriche del macchinario principale, anche il pastificio è stato ‘seminato’: uno sbancamento di 6 metri ha consentito di costruirlo per metà sotto il livello della collina, sul quale è stato invece posizionato l’ingresso principale, con l’intento di mantenere intatto l’equilibrio naturale delle linee. Una fondazione di cinque metri lo ha radicato a terra, simile ai numerosi alberi, vecchi e nuovi, che contornano i terreni dell’azienda. Gli ambienti sono progettati per fasi operative con esigenze di temperatura differenti. La zona di produzione, calda e umida, si trova nel cuore dell’edificio, protetta ai lati dai depositi della semola e della pasta, freschi e asciutti. L’area di confezionamento è inondata di luce, per facilitare il lavoro. All’esterno la struttura è avvolta dal legno, lunghissime assi orizzontali ne fluidificano il volume, integrandolo nel panorama come un ritaglio di fotografia attorno al quale un pittore abbia disegnato le colline. Il legno è isolante e cambia colore con le stagioni e con gli anni, così il pastificio è prima marrone, poi grigio, sabbia. È un luogo vivo, come la natura che lo ospita, le persone che ci lavorano, come la pasta che vi è custodita.

[/toggle][toggle title=”I Turanici”]I Turanici sono una sottospecie appartenente allo stesso gruppo del grano duro. La classificazione esatta è Triticum turgidum subspecie turanicum, comunemente T. turanicum: questo è il nome scientifico riconosciuto in tutto il mondo. La specie è originaria della regione del Khorasan (Nord-Est dell’Iran) e le sue popolazioni sono presenti nel Bacino del Mediterraneo e anche in Italia, ma sono state dimenticate in tempi moderni. Sono caratterizzati da spiga grande, spesso con lunghe ariste nere, chicco grosso e allungato, pianta robusta di taglia elevata, ottima capacità di accestimento. Per queste ultime caratteristiche le varietà di grano turanico sono particolarmente indicate per le coltivazioni biologiche.[/toggle]

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